di Agostino Pantano
ROMA – In mare o sulla terraferma, nei centri hotspotle procedure di identificazione rapida dei migranti richiedenti asilo rimangono inumane, irrazionali e contrarie alle norme del diritto internazionale.
Di questo si è detto convinto il deputato del partito Democratico Luigi Lacquaniti nel corso della conferenza stampa di presentazione dei primi risultati degli interventi nei luoghi di crisi operati dall’OngOxfam Italia, dalla Diaconia Valdese e dalla Onluss siciliana Borderline, le tre realtà associative unite in un progetto che punta ad assicurare assistenza legale e materiale agli stranieri.
L’incontro con i cronisti, nella sala stampa della Camera dei Deputati, è stato l’occasione per fare il punto sui dati allarmanti dei respingimenti illegali dettagliati nel “Rapporto Hotspot” – realizzato da operatori a cui in base alle norme emergenziali varate di recente è comunque preclusa la possibilità di presidiare questi centri di “identificazione rapida” – e per presentare le caratteristiche degli “staff mobili” frutto del lavoro in rete sperimentato dai tre soggetti della cooperazione.
<<Gli hotspot – ha affermato Lacquaniti – dovevano servire al ricollocamento dei migranti in fuga, a favorire il ricongiungimento familiare nei Paesi europei e quindi dovevano rimanere luogo di transito invece di trasformarsi nel pretesto per operare sommarie identificazioni che preludono al respingimento: la loro terribile filosofia, che stiamo vedendo attuata drammaticamente in luoghi come Idomeni, è figlia della concezione sbagliata che continua a distinguere i profughi delle guerre e i migranti economici, senza tenere conto che ormai nei Paesi di origine di questi flussi migratori di massa le due condizioni di crisi sono interdipendenti>>.
Una situazione allarmante peggiorata repentinamente, come Lacquaniti – parlamentare di origini calabresi eletto in Lombardia – ha avuto modo di sincerarsi personalmente partecipando di recente alla spedizione “Calabria x Idomeni”, organizzata su impulso del cooperante palmese Enzo Infantino.
Sui limiti concreti della procedura si è diffuso Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia, che ha ravvisato la <<mancanza di un quadro giuridico accettabile, perché non è possibile che sia il personale della Polizia italiana a stabilire chi avrebbe diritto all’asilo e chi no, in una situazione che finisce col favorire l’esclusione sociale e l’illegalità, poiché le persone respinte mai e poi mai possono ottemperare all’obbligo di tornare negli Stati di partenza entro 7 giorni>>.
Una situazione-tampone che però ha acuito, specie in Italia dove gli hotspot previsti dovranno diventare 6, ogni tensione mostrando il fianco di una disorganizzazione complessiva <<dovuta al fatto – ha commentato Lacquaniti – che in Europa si continua a considerare il migrante un numero e non una persona>>.
Un “no” forte all’apertura di hotspot in mare aperto e su piattaforme galleggianti, è venuto dal parlamentare del Pd Khalid Chaouki che ha paventato il rischio di <<sempre nuove emergenze umanitarie>>, in un contesto nel quale l’Europa <<dovrebbe organizzarsi meglio per sapere chi arriva, accoglierlo e integrarlo quando il migrante ha diritto>>.
E invece le procedure di identificazione rapida rimangono altamente discrezionali, come ha spiegato Pia Locatelli – presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani – che ha sottolineato come <<l’intervista sbrigativa che viene fatta ai migranti, molto spesso in assenza di interpreti e sempre senza l’ausilio di legali, non riesce a fornire un quadro completo del diritto acquisito e quindi diventa l’anticamera del respingimento certo>>.
Aumentano i conflitti e peggiora lo stato di crisi, ma se identificazione fa sempre più rima con espulsione è evidente come i conti delle politiche europee della “integrazione in sicurezza” non tornino. <<L’accompagnamento legale e umanitario che vogliamo poter offrire – ha spiegato Massimo Ghione in rappresentanza della Diaconia Valdese – va a beneficio delle comunità locali e di tutta la popolazione, riducendo il numero delle persone senza documenti che vagano sul territorio senza alcuna assistenza e facilmente sono agganciate dalle organizzazioni criminali o entrano nel giro del caporalato>>.
Da questa esigenza di tappare le falle di una procedura straordinaria che rischia di diventare normale nella materia del diritto d’asilo, nasce l’idea della “unità mobile” di operatori delle tre organizzazioni umanitarie. L’obiettivo è quello di una vera identificazione anticamera per il reale riconoscimento del diritto d’asilo politico.
<<Nessuna prassi amministrativa dettata da una decisione politica – ha commentato Paola Ottaviano, avvocato e referente di Borderline Sicilia – può porsi in contrasto e in violazione di norme nazionali e internazionali attraverso sommarie e frettolose procedure messe in atto dalla Polizia e da Frontex. Ed è per questo che chiediamo che negli hotspot possano operare anche legali e mediatori culturali che noi mettiamo a disposizione affinchè non si lasci i migranti alla mercè di scelte politiche antigiuridiche>>.