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I Sindaci conoscono il Decreto Sicurezza?

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Prefazione “C’è gente che dice che vuol lottare e poi confonde il fischio d’inizio della partita con quello dell’ultimo minuto, e va a casa”

Mentre in Parlamento tra mille polemiche e (quasi) spaccature nella maggioranza, si discute il cosiddetto “Decreto sicurezza”, e ho cercato di dare uno sguardo a le oltre trenta pagine che lo compongono. Leggendo con attenzione, scorgo tra lo sfogliare i vari articoli, un numero “28”, dove si parla dell’ex art. 143 del Testo Unico Enti Locali (Dlgs 267/2000), ovvero di quel famoso articolo che dal 1991 autorizza lo scioglimento dei Comuni per infiltrazione mafiosa. E rimango quasi basito, ammutolito a così tanta esposizione legiferante, tanto che la prima cosa che viene spontaneo chiedere è, “Ma i Sindaci lo sanno? E se lo sanno perché stanno in silenzio?”, ovvero l’Anci ne è a conoscenza di quanto c’è scritto in merito all’introduzione del comma “7-bis” all’art. 143? E soprattutto alla condizione di “costituzionalità”, visto che forse, lederebbe i principi di autonomia di ente locale?
Andiamo per gradi. Al comma 1 dell’art. 143 c’è scritto che “…i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati (…), emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori (…) che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”, e tale condizione di solito è preceduta dall’insediamento di una “commissione di indagine” nominata dal Prefetto. Orbene, se la “commissione” dopo i suoi sei mesi (al massimo), riscontra delle anomalie causate da sospetti di infiltrazioni mafiose, che precisiamo, vista la norma vetusta, da cambiare completamente e non da integrare, l’ente verrà sciolto con decreto del Ministro dell’Interno “su proposta del prefetto”. Ma se, come recita il comma 7 “non sussistano i presupposti per lo scioglimento”, prima del decreto sicurezza, la cosa sarebbe finita lì, con un decreto di rito di “conclusione indagini” da parte del Ministro dell’Interno. E ora viene il bello perché nel suddetto “decreto”, è stato aggiunto un comma, il “7-bis” e cosa ci dice? “Nell’ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o più settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un’alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali o provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell’accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalità l’attività amministrativa dell’ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l’adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all’ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all’amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci”. Cioè, viene individuato un “nuovo” istituto in cui consente di adottare interventi straordinari quando la commissione d’accesso non ha rinvenuto elementi concreti per essere sciolto per mafia, però sono state riscontrate delle anomalie o questioni illecite in più settori amministrativi. E quindi, il Prefetto per “sanarle” individua degli interventi indicando gli atti da assumere con relativo “supporto”. E se non vengono rispettati entro un termine ben definito, nomina un commissario ad acta.
Possibile che nessuno dei 400 sindaci calabresi abbia letto questa forma di “commissariamento” dell’autonomia nonché della democrazia elettiva? Visto e considerato che già in primo luogo, la questione scioglimenti per mafia, si è rivelata inefficiente e anacronistica, e che soprattutto alla luce dei risultati odierni non ha risolto alcunché il problema delle infiltrazioni negli enti locali, perché invece che diminuire, dal 1991 sono aumentati a dismisura, estendendosi non solo nel Mezzogiono, ma in tutto il territorio italiano? E l’Anci, di questa condizione, ripeto, cosa ne pensa?