La locuzione latina nemo tenetur se detegere esprime il principio di diritto processuale penale in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale (auto-incriminazione).
Essa si articola in una facoltà omissiva (jus tacendi) per un verso; ed in una facoltà attiva (jus mentiendi: quest’ultimo non espressamente codificato ma, tuttavia, incontrastatamente riconosciuto) per altro verso.
L’ipotesi in esame è questa: l’avvocato può suggerire al suo cliente di mentire divenendone collaborazionista?
Di un certo peso é l’obiezione che, facendo leva sulla distinzione tra difesa materiale e difesa tecnica colloca il difensore, rigorosamente, in posizione settorialmente ed esclusivamente tecnica.
Materiale la difesa dell’imputato: tecnica la difesa dell’esercente la professione legale.
Sostanzialmente il legale deve collaborate alla giusta decisione.
Ma ognun vede come siffatte convergenti e significativamente puntualizzatrici proposizioni valgano nel settore della deontologia; e non già dello stretto diritto.
Alla stregua del quale il difensore fruisce dei “colloqui” con l’imputato ed ha diritto a mantenere il segreto professionale sul contenuto di essi: un contenuto cioè “materiale” e tutt’altro che “tecnico”.
Né si vede a che debba tendere la consulenza svolta nei “colloqui” assistiti dal segreto (che concernono sicuramente i fatti e la scelta delle linee difensive poggianti sui fatti) se l’attività del difensore dovesse esaurirsi nella lettura dei già incartati verbali e nell‘inquadramento tecnico giuridico dei fatti: pur al cospetto della consapevolezza che l’imputato assistito ha facoltà di non collaborare, tacendo; ed anche di mentire.
Incompleto, poi, sarebbe il discorso se non si aggiungesse che, al postutto, il principio del nemo tenetur se detegere ha i suoi risvolti — negativi per l‘imputato — nella insignificanza delle assertive a sé favorevoli, non convalidabili mediante giuramento proprio e nemmeno mediante richiesta di esperimento di ”lie detector” (in nessun caso ammissibile per il nostro diritto penale); nonché nel peso, assai grave, delle ammissioni, ovverossia dichiarazioni contra sé; nonché nel potere, di giustizia, di ricercare ed acquisire aliunde, con ogni mezzo legittimo, la opaca verità dallo jus tacendi e dallo jus mentiendi.
Né il compito del deontologo potrebbe essere affidato al giudice penale in un processo, come il nostro, in cui costantemente operante é il principio di stretta legalità.
Principio di legalità che impone non giammai l’interpretazione se una data condotta sia conforme all’etica, o al decoro professionale, o al costume; bensì solamente se la condotta sia conforme alla descrizione fattane dalla norma incriminatrice, ed in essa inquadrabile; e se sia munita di tutte le connotazioni della illiceità penale, venuta meno alcuna delle quali, il fatto resta come fatto acquisito alla certezza storica, si; ma come fatto che non costituisce reato.