“La buona scuola promessa da Renzi cade sotto i colpi della Legge di Stabilità”


Ho letto con molta curiosità il documento divulgativo “La buona scuola. Aiutiamo l’Italia a crescere”, pubblicato dal Ministero della Pubblica Istruzione nei primi giorni di Settembre, attraverso il quale il Presidente Renzi ha voluto far conoscere agli italiani il progetto di riforma della scuola e i modi in cui questa verrà elaborata. A dire il vero la mia curiosità nasce dal costatare che i molti commenti al piano, abbiano definito neoliberale questo ennesimo tentativo di riforma le cui tracce ho tentato di seguire. Aleggia in parte nel documento un’idea neoliberale di scuola, quella che avremmo sempre voluto, laica, egalitaria e di eccellenza, ma l’impressione ultima che rimane in me è che si continua ad avere una vaga e generale idea di istruzione; emerge senza dubbio la bravura comunicativa di questo governo che poi ne è il tratto caratterizzante e dopo la lettura del testo quasi ci si convince che la scuola sia ancora considerata la colonna portante di questo Paese come se poi questa idea avesse la necessità di essere rimarcata. Due sono le particolarità che più di tutte le altre potrebbero aver tratto in inganno chi questo documento lo ha definito neoliberale nei contenuti: l’utilizzo del termini patto e l’introduzione della metafora sportiva squadra. Il primo termine ha sostituito l’ormai abusato concetto di riforma che riporta alle mente solo tentativi fallimentari di riorganizzazione del mondo della scuola e, facendo leva sul suo stesso significato che rimanda alla stipula di un accordo in cui tutte le parti hanno pari responsabilità, prepara probabilmente e preventivamente il terreno su cui scaricare eventuali fallimenti. Il richiamo poi alla metafora sportiva, innesca nella maniera più scontata il richiamo ad uno dei principi cardine del neoliberismo, quello del mito della competitività. Il tutto ovviamente lascia sottintendere che l’accordo sia stato stipulato consensualmente tra le parti in gioco, docenti, studenti e famiglie e tutti concorrono, a far si che questa volta la partita più importante possa essere vinta. Al di là però dei richiami formali, a me pare di leggere tra le righe di questo agevole libello una forte continuità contenutistica con le riforme o sedicenti tali che negli ultimi trent’anni si sono avvicendate. I temi rimangono gli stessi, quelli che stancamente si trascinano da anni e che l’Europa e ancor più i deludenti risultati OCSE ci chiedono di risolvere, ma ciò che colpisce non sono i temi presenti, bensì quelle assenti cui non si fa neppure un minimo riferimento. Apparentemente l’interesse della riforma focalizza l’attenzione sulla necessità di aprire un canale privilegiato di continua relazione tra mondo della scuola e lavoro anche attraverso il rafforzamento delle discipline linguistiche e informatiche, un processo non facile da avviare che avrebbe però come risultato finale non unicamente lo sviluppo dei saperi, ma quello più economicamente vantaggioso, rimanendo in tema di miti neoliberali, delle competenze. Neppure tralasciato è il tema della carriera dei docenti, trattato anche attraverso l’introduzione delle differenze stipendiali, così come molta importanza pare venga riconosciuta all’autonomia didattica degli stessi. Rimane però aleatorio il concetto di merito, perché non si evince affatto che cosa si intenda per merito e soprattutto a che cosa questo debba essere rapportato o meglio forse velatamente la scuola di Renzi chiederà ai nostri ragazzi, ma anche ai docenti che si scopre essere per lo più mediamente bravi, di essere migliori rispetto alle competenze che il mercato chiede, piuttosto che ai saperi che la cultura vuole. Ed è qui, attraverso il modello di scuola che il governo auspica, che entra a gamba tesa la cultura della competizione mascherata da cooperazione, annullando di fatto anni di tradizione e approccio pedagogico teso al confronto e mai all’esclusione e soprattutto al conflitto. In definitiva, l’organizzazione scolastica italiana, in passato presa a modello da altri paesi europei, ripiega sempre di più verso riferimenti di matrice anglosassone che in alcuni casi si sono rivelati fallimentari, quegli stessi sistemi che altri paesi tendono a smantellare o modificare – Finlandia e Giappone sono i casi più indicativi – da noi sono rilanciati e glorificati con grave danno al concetto di equità d’istruzione e di conseguenza allo stato sociale. Una scuola ispirata a principi di giustizia sociale, dovrebbe tendere all’inclusività e all’uguaglianza delle opportunità, offrendo agli studenti la possibilità di partire dalla stessa prospettiva di apprendimento eliminando così le ingiuste suddivisioni degli stessi, per livelli di rendimento che tanti sensi di colpa generano a discapitato del tanto apparentemente ricercato merito. Il paravento contenutistico della proposta cade molto presto sotto i colpi dei tagli introdotti nella legge di stabilità che rivelano distintamente il vero volto della riforma. Sulla carta ci viene spiegato come la scuola dovrebbe essere, nella realtà dei fatti, attraverso la sottrazione di fondi a scuole pubbliche e ricerca, ci spiegano invece che avrebbero voluto, ma non hanno potuto, che tutto rimarrà come prima o se possibile anche peggio. Senza volere elencare in maniera minuziosa i tagli che di fatto annullano le buone intenzioni enunciate con tanta enfasi nel libello di presentazione di riforma, basta ricordarne alcuni per comprendere come alle belle parole non siano seguiti i fatti. I tagli a carico del MOF (Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa nelle scuole) lo hanno ridotto di 30 milioni di euro a decorrere dall’esercizio 2015. Tradotto in offerta formativa, questo vorrà dire che non ci sarà più inglese e neppure più informatica, che il wi-fi in tutte le scuole i nostri studenti potranno solo sognarlo e la formazione dei docenti è demandata alla loro buona volontà. In compenso, una parte dei 30 milioni tagliati, saranno utilizzati guarda caso per integrare il programma straordinario di reclutamento dell’INVALSI. A chi conosce bene i meccanismi di valutazione e merito questo ultimo dato parla da solo. Di neoliberismo, francamente ne ho incontrato solo qualche flebile traccia, non sufficiente per poter dire che Renzi e il suo governo abbiano fatto veramente quel salto di qualità che la scuola aspettava da tempo. Nelle maglie della burocrazia ministeriale che si finge ancora gentiliana e che intrappola anche questo governo a me pare di scorgere una forte continuità e una prosecuzione delle politiche attuate negli anni precedenti, con un’unica parola d’ordine: spendere sempre meno per l’istruzione. Il guazzabuglio di citazione di cui poi è infarcito il libello completa il quadro confuso che della scuola ha questo governo. Passando da Madre Teresa a Don Milani e Montessori fino ad arrivare a Che Guevara, vorrebbero farci credere che l’inclusività sia il vero e unico punto di riferimento di questa riforma. Di fatto rivela quanto questo governo abbia fintamente le idee confuse e se quella da loro proposta è la scuola del futuro, mi auguro che ancora per lungo tempo resistano le incrostazioni gentiliane che qualcuno vorrebbe definitivamente eliminare. Se la scuola italiana non è ancora all’ultima spiaggia, lo dobbiamo solo a questo.

Dott.sa Giovanna Senatore
Componente RISVEGLIO IDEALE