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La Cassazione conferma condanna a ex preside

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Ieri, la suprema Corte di Cassazione, ha confermato in via definitiva
la condanna dell’ex dirigente scolastico, Catanzaro Pietro, a due anni di reclusione
e interdizione dai pubblici uffici per concussione finalizzata all’ottenimento di
favori sessuali (mai ottenuti) da una insegnante.
I fatti contestati si riferiscono a comportamenti dell’ex preside posti in essere
durante l’anno scolastico 2007/2008 quand’era in servizio presso l’istituto di Cropani
(CZ).

“È il segno che la giustizia esiste ancora”. Soddisfatta la parte offesa, l’insegnante
Patrizia Aiello che, dopo aver saputo della sentenza della Cassazione comunicatagli
dall’avvocato Natalina Raffaelli che l’ha assistita a costituirsi come parte civile
anche nel terzo grado di giudizio, ha dichiarato di essere “soddisfatta” perché,mah
spiegato, “la giustizia ha riconosciuto, ancora una volta, anche al terzo definitivo
grado di giudizio, la completa responsabilità penale del dirigente scolastico per
fatti che erano caratterizzati da una prepotenza inaudita e che, adesso, con la nuova
legge buona scuola e con i relativi poteri attribuiti ai dirigenti scolastici c’è
il rischio che possano diventare sempre più frequenti. Per una donna” – ha aggiunto
– “è difficile denunciare molestie e richieste illegittime sul posto di lavoro,
ma è possibile e, con l’esperienza personale, posso affermare che è anche un dovere
morale farlo”.
A dare notizia della decisione della Cassazione è il compagno, sindacalista dalla
Gilda insegnanti di Catanzaro, Giuseppe Candido che, a tal proposito, ricorda come,
a seguito di indagini durate oltre due anni su richiesta del Pubblico Ministero Simona
Rossi, durante l’udienza preliminare del 30 aprile 2010, il GUP del tribunale di
Catanzaro, dott.ssa Emma Sonni, aveva disposto il rinvio a giudizio dell’ex dirigente
scolastico imputandolo di concussione (art.317 cp), tentata violenza sessuale (art.
609 bis c.p.) e maltrattamenti (art.572 c.p).
A poco più di un anno dal rinvio a giudizio, sentiti i testi dell’accusa e della
difesa, secondo il collegio giudicante composto dalla dottoressa Mastroianni, dalla
dottoressa Pezzo e dal Dott. Battaglia (Presidente), c’erano sufficienti prove per
condannare l’ex preside.
“Un continuo di atteggiamenti” – aveva sottolineato il Pm nella requisitoria
del 30 aprile 2011 – ritenuti “inequivocabili per il raggiungimento del disegno
criminoso” dal collegio giudicante di primo grado che aveva condannato il Catanzaro
anche al pagamento delle spese processuali quantificate in tremila euro e a quindicimila
euro di danni morali e materiali per la parte offesa.
Il procedimento, ricordiamo, traeva origine dalla denuncia sporta, nel maggio 2008,
dall’insegnante che “lamentava una serie di vessazioni subite dal suo dirigente,
dopo averne respinto le attenzioni di natura sessuale che lo stesso aveva più volte
esplicitato nei suoi confronti”.

Nelle motivazioni della sentenza in primo grado, ricorda ancora il sindacalista,
tra le “valutazioni delle fonti di prova” rilevando “la credibilità intrinseca ed
estrinseca della persona offesa” i giudici scrivevano che “Gli esiti dell’istruttoria
consentono di poter affermare che il profilo personale professionale della Aiello
è tale da conferire al suo narrato una credibilità soggettiva particolarmente forte”.
… (E che, ndr) non si può non osservare che lo stesso (narrato, ndr) è caratterizzato
da coerenza logica, precisione, genuinità e spontaneità, tenuto conto proprio delle
modalità che l’hanno indotta, sia pure a distanza di tempo, a denunciare una vicenda
che non riusciva a superare e che le aveva creato negli ultimi tempi una situazione
di profondo disagio e malessere”.

“Il racconto, oltre che chiaro e lineare” – aggiungevano i Giudici nelle motivazioni
alla condanna confermata in Appello e Cassazione – “è poi caratterizzato da una
estrema costanza e coerenza, lungamente ribadito, nelle sue linee essenziali, nel
corso di un esame testimoniale nel quale la donna non si è sottratta al fuoco incrociato
delle domande e, quindi, rappresentativo di una vicenda che non può che essere il
frutto, tormentato e angoscioso, di un’esperienza realmente vissuta che la Aiello
non ha mancato di rappresentare in più occasioni e con diversi interlocutori, elementi
che attribuiscono alla narrazione dei fatti un sicuro fondamento”.

Negli “elementi di riscontro testimoniali e documentali”, i Giudici motivavano la
condanna in primo grado nel 2011 scrivendo che vi erano “una serie di elementi oggettivi
(testimoniali e documentali) che si possono assumere a conforto della versione offerta
dalla persona offesa, … fortemente confermata e corroborata dalle testimonianze
… e da circostanze di non poco conto che connotano in termini di riscontrata credibilità
il racconto dell’Aiello … ed indeboliscono la versione negatoria dell’imputato”.

Senza contare che, nota ancora Candido, sono i giudici a sottolineare che: “È proprio
il racconto del dirigente a connotare di ulteriore credibilità le accuse formulate
nei suoi confronti”. E che: “La vicenda ripropone la rilevanza penale della (purtroppo
ben conosciuta anche di recente) condotta di un soggetto che è posto in una posizione
“privilegiata” rispetto alla vittima del reato, e che attraverso l’abuso di tale
posizione richiede vantaggi indebiti … che, nel caso di specie assume la rilevanza
di fattispecie del reato di concussione così come disciplinato dell’articolo 317
cod. pen.”.

La condanna di primo grado, pienamente confermata nel merito dalla Corte di Appello
di Catanzaro a marzo 2015, è stata adesso pienamente confermata dalla Suprema Corte
di Cassazione che ha ritenuto il ricorso alla Corte dell’avvocato della difesa Pietro
Funaro inammissibile e improponibile.