Altro che testa a testa!
Syriza ha stravinto le elezioni parlamentari greche con oltre il 35% dei voti con una lieve flessione (meno dell’1%) rispetto alle elezioni di gennaio.
Nea Demokratia di Vangelis Meimarakis,ha ottenuto pressapoco il medesimo risultato d’inizio anno. Entrambi i grandi partiti hanno comunque perduto qualcosa in termini di seggi al parlamento (Syriza – 3, ND – 1).
Ancora una volta dunque i sondaggisti ellenici hanno clamorosamente toppato.
La scusa che l’alto tasso di astensionismo e la grande percentuale di indecisi alzano i margini di errore non regge più. Se i sistemi di rilevazione di voto danno codesti esiti tanto vale evitare di seguitare a proporli.
Discorso che vale anche per gli altri paesi, Italia compresa.
Sin dagli exit poll, riscontrati dai dati reali, infatti, ha trovato conferma il fatto che non c’è stato alcun testa a testa poiché la vittoria di Syriza è apparsa subito chiara, pur restando lontano il partito di Alexis Tsipras da quella maggioranza assoluta e di seggi (151) in parlamento che renderà necessaria la formazione di un governo di coalizione.
L’elettorato ha premiato il pragmatismo del giovane leader ateniese dandogli la possibilità di continuare a governare per i prossimi 4 anni che saranno decisivi per la rinascita economica e sociale della nazione ellenica.
Apparentemente l’esito del voto sembra la copia conforme della consultazione dello scorso 25 gennaio. Non è così. Vediamo perché:
1) Syriza non è più quella d’inizio anno. E’ sempre di più soltanto “il partito di Tsipras” che ha sbaragliato, anche a costo di una scissione i settori più radicali che tanto piacevano ( e piacciono) alla nostra brigata Kalimera di Vendola e C.
E’, codesto, un fatto difficilmente confutabile
2) Gli scissionisti di Syriza, quelli che il sindacalista socialista Bruno Buozzi avrebbe definito gli esponenti della “sinistra delle chiacchiere” ispirati dal divo Yanis Varoufakis, amico di Fassina e C, e guidati da Panagiotis Lafazanis, sono rimasti fuori dal parlamento.
Il partito Laïkì enòtita, Unità popolare, nato da una costola di Syriza ha fallito l’obiettivo di superare lo sbarramento del 3%.
Tsipras ha vinto set, gioco e partita.
4) I neonazi di Alba dorata rimangono purtroppo il terzo partito ma, fortunatamente, restano inchiodati alla percentuale ottenuta a gennaio. Idem dicasi per i veterostalinisti del KKE.
Totale: 33 seggi in frigorifero. As usual.
5) Anel, Greci indipendenti, il partito di destra di Kammenos, che ha sostenuto il passato governo Tsipras, garantendogli la maggioranza parlamentare, perde un punto secco e ben 3 deputati
5) To Potami, il partito di centro del giornalista Theodorakīs, grande sorpresa di gennaio, flette vistosamente di 2 punti e perde 6 deputati
6) Il Pasok, infine, guidato da Fofi Ghennimatà, non solo argina la frana di gennaio ma per poco non diventa il terzo partito di Grecia, recuperando quasi completamente i consensi in uscita dalla fallita scissione di Papandreou, guadagnando 4 seggi rispetto alla debacle dell’inizio dell’anno.
Come si vede il risultato delle urne pur sanzionando la netta vittoria di Alexis Tsipras è sensibilmente diverso dall’esito di otto mesi fa e offre al vincitore uno spettro di valutazioni che dovrebbero indurlo a non ripetere “sic et simpliciter” l’esperienza della coalizione della passata legislatura.
E’ vero che il gruppo parlamentare di Syriza, depurato dalle frange della sinistra radicale, sarà, presumibilmente, più coeso e compatto del precedente ma è altrettanto vero che il prossimo premier non potrà tenere conto del successo dei socialisti del Pasok e della contemporanea flessione di Anel poiché la maggioranza che lo sosterrebbe sarebbe esigua (155 seggi).
Se Tsipras, al contrario, come sembra dalle sue prime dichiarazioni, intenderà confermare la coalizione di gennaio, affidando la propria sopravvivenza ad una formazione di centrodestra, non coinvolgendo la sinistra riformista dei socialisti del Paspk offrirà uno segnale non positivo soprattutto una potente giustificazione e pretesti a chi, in Europa lo considera un leader ancora incline alla pratica del populismo, più vicino a Gysi che a Corbyn e blandamente riformista sol perché messo alle strette dalla congiuntura economica.
Lo sapremo presto.
La crisi greca è tutt’altro che superata. Se il nuovo governo di Atene non darà corso alle draconiane riforme contenute nel memorandum della UE, se, contestualmente non si procederà a ristrutturare un debito insostenibile, rischia di riemergere come un fiume carsico e deflagrare definitivamente. Ad essa, da questa estate, si aggiunge la drammatica vicenda dei migranti che investe in pieno le isole dell’Egeo e potrebbe riaprire le mai rimarginate ferite legate alla sedimentata reciproca ostilità con la vicina Turchia.
Problemi che il prossimo premier dovrebbe avere ben presenti e che dunque dovrebbero indurlo ad uscire rapidamente da una quasi autosufficienza retta da una stampella anomala come Anel, per intraprendere un cammino nel segno di una chiara ed in equivoca adesione ai principi ed alle prassi riformiste il cui naturale inizio sarebbe un accordo con il Pasok.
Staremo a vedere.
Emanuele Pecheux