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Manifestare e devastare in città? Un reato ampiamente impunito

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Negozi, banche, auto in fiamme, vetrine infrante, gente e turisti in fuga
terrorizzati, scontri con la polizia, alcuni agenti feriti. E’ sfociata in
terrore e devastazione nel cuore della città la giornata inaugurale di Expo,
l’evento universale inaugurato l’1 maggio 2015, a Milano. Al corteo del No
Expo Mayday Parade organizzato nel pomeriggio. Come temuto ed ampiamente
previsto, hanno preso il sopravvento i pochi black bloc e le fasce più
violente e la manifestazione è presto degenerata.

La polizia nei giorni precedenti ha sfoggiato mediaticamente il suo impegno,
mostrando alle telecamere qualche arnese atto ad offendere rinvenuto in una
casa occupata dai “No Tav”, tacitando così le preoccupazioni dei milanesi.
Una delle tante case di proprietà occupate abusivamente da tante sigle
vicine alla sinistra.

Circa la violenza unilaterale dei manifestanti scoppiata a Milano ognuno
dice la sua. A destra sono pronti a solidarizzare con le forze dell’ordine,
a prescindere dal loro operato; a sinistra sono dediti a rimarcare e
difendere il diritto a poter manifestare il proprio punto di vista,
scambiando la locuzione con “ogni mezzo”, appunto, anche con l’uso della
violenza, usata spesso contro i beni di quei lavoratori, che a parole dicono
di rappresentare. Quella sinistra che si riempie la bocca del termine
“Legalità”, fino ad ingozzarsi, fino a soffocarsi.

Chiediamo cosa ne pensa lo scrittore Antonio Giangrande, che, autore della
collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”, con decine di
saggi pubblicati su Amazon, Google libri, Lulu e Create Space, dice la sua,
invece, rispetto al diritto ed agli interessi dei cittadini danneggiati e
trascurati.

«La libertà di manifestazione del pensiero è un diritto riconosciuto negli
ordinamenti democratici. Questa libertà è riconosciuta da tutte le moderne
costituzioni.

Ad essa sono inoltre dedicati due articoli della Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo del 1948: Art. 19: “Ogni individuo ha il diritto alla
libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere
molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere
informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.

La libertà di espressione è sancita anche dall’art. 10 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali ratificata dall’Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848: “1. Ogni
individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la
libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o
idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e
senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono
rispettati.”

La Costituzione italiana del 1948 supera l’esigua visione fornita un secolo
prima dallo Statuto Albertino, che all’art. 28 prevedeva che La Stampa sarà
libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Durante il periodo fascista
queste leggi dello Stato diventeranno delle censure, tipiche dei regimi
totalitari. L’art. 21 della Costituzione stabilisce che:

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la
legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il
tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa
periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che
devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia
all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore
successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti
i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti
adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”

Ebbene, in Italia, se scrivi in stato di disomologazione al sistema
mediatico o in dissenso al sistema di potere, a cui la stampa è genuflessa,
i giudici te la fanno pagare.

Ma con il paraculo del diritto di manifestare in piazza si genera la più
grande sorta di illegalità impunita che il paese ricordi. E dire che queste
manifestazioni si palesano proprio come protesta contro le illegalità.
Ognuno di noi che volesse commettere reati a iosa, sicuri di farla franca,
basterebbe partecipare ad una manifestazione organizzata, spesso, dalla
sinistra e l’impunità è compiuta.

“Abbiamo spaccato un po’ di roba”, è giusto così. A parlare è un ragazzo
intervistato dalla troupe di TgCom24. Nessuna paura di ammetterlo e nessuna
giustificazione, anzi, per lui è solo “bordello”. “Siamo arrivati, c’era un
bordello, abbiamo spaccato un po’ di roba”, ha ammesso. Il giornalista
chiede il perché e la sua risposta è secca: “Perché è la protesta, e alle
proteste si fa bordello. È giusto così, noi dobbiamo far sentire la nostra
voce. Se non lo capiscono con le buone, lo capiranno in altro modo. È stata
una bella esperienza. Ero solo in mezzo a una guerriglia e mi sono preso
bene, ma non ho distrutto un cazzo di nulla”.

Eppure nelle manifestazioni di piazza ci sono talmente tante violazioni del
codice penale che ne basterebbe una a far scattare l’arresto.

Dispositivo dell’art. 419 Codice Penale: “Chiunque, fuori dei casi preveduti
dall’articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito
con la reclusione da otto a quindici anni. La pena è aumentata se il fatto è
commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di
deposito”. E poi quante violazioni penali cerchi, tante ne trovi. E comunque
basta il sol travisamento a far scattare le manette.

Genova, sette studenti condannati per travisamento ad una manifestazione
contro la Gelmini, scrive Genova Today. Una sciarpa che copre il volto per
sfuggire all’occhio “invadente” delle telecamere Digos. Una mano sulla bocca
per non respirare l’odore acre dei lacrimogeni. O un cappello “tenuto basso”
per non essere del tutto riconoscibili: scene classiche da manifestazioni.
Scene che da oggi potrebbero essere punite con il carcere. E’ questo, in
soldoni, quello che prevede una condanna del tribunale della Procura di
Genova che ha disposto pene variabili fra i nove e i quattordici mesi per
sette persone accusate di resistenza e “travisamento”. Gli accusati, sette
studenti liguri che parteciparono ad una manifestazione del 30 novembre 2010
contro l’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, sono stati
condannati per avere nascosto il proprio volto nelle fasi calde del corteo.
Tradotto: la Procura non ha accertato che i sette ragazzi in questione
abbiano partecipato a scontri o disordini, dato che nella sentenza non vi si
fa riferimento, ma li ha condannati “semplicemente” perché si sono resi non
riconoscibili. Nello specifico, le condanne fanno riferimento ai momenti
successivi ad una carica della polizia. Azione che gli agenti non
annunciarono, contrariamente a quanto previsto dagli articoli 22 e 23 del
Tulps, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che prevede la
“intimazione formale al discioglimento di un corteo”. Agli avvocati dei
giovani, che avevano puntato su questa “mancanza” da parte delle forze
dell’ordine, il pubblico ministero Biagio Mazzeo ha spiegato che “si tratta
di un provvedimento desueto e comunque, con tutti i tagli che devono subire
le forze dell’ordine probabilmente non avevano neppure la possibilità di
portarsi dietro un megafono”. Insomma, condanna sia. Condanna, giunta pochi
giorni fa, che rischia di inaugurare una giurisprudenza alquanto pericolosa.
Appare troppo sottile, infatti, il confine fra la giusta necessità di punire
i manifestanti facinorosi e l’eccesso di condannare chiunque si renda
irriconoscibile durante una manifestazione. Ma non è tutto. Sotto la
Lanterna, infatti, sono in corso almeno un’altra decina di indagini su
cortei e proteste simili, riguardanti in particolare lo sciopero del 6
maggio 2011 e il corteo del 28 gennaio che vide in piazza studenti e operai
al grido di “noi la crisi non la paghiamo”. Le indagini, a questo punto
sembra scontato, si chiuderanno con un processo e con altre condanne. Ma
anche qui, la procura ligure potrebbe stupire. Oltre alle “storiche” pene
per travisamento, infatti, molti dei ragazzi indagati, fra “anarchici noti”
e semplici studenti, rischiano una somma di condanne e quindi il carcere per
la “reiterata partecipazione a cortei”. Insomma, i giovani che abbiano
partecipato a più di una delle proteste finite nel mirino della procura
rischiano le manette, perché colpevoli in più di un’occasione di
“travisamento”, anche se i cortei nella realtà non si siano trasformati in
guerriglia. Le condanne di questi giorni, comunque, non stanno stupendo più
di tanto Genova, una città che, da due anni a questa parte, ha subito una
“gestione giudiziaria della piazza”. Per l’esattezza da quando, un paio di
anni fa, il procuratore aggiunto Vincenzo Scolastico elaborò una “griglia”
nella quale incrociare date dei cortei, nomi dei partecipanti, denunce e
qualsiasi manifestazione dove la Digos avesse ripreso delle immagini. A
quanto pare, la “griglia” sta cominciando a dare i suoi effetti.

Invece a Milano la polizia che fa: niente!!!

E non è certo l’alibi della nuova legge sulla tortura che li sprona a
rimanere inermi di fronte alla commissione di reati, né può essere colpa
degli agenti che, oltretutto, sono i primi a prender botte da manifestanti,
spesso, figli di papà o figli proprio di quelle istituzioni che dovrebbero
reprimere e condannare i reati.

E non sono certo gli agenti a mancare. Questo passerà alla storia come il
primo maggio più lungo di sempre. Complice l’inaugurazione di Expo 2015,
6.000 uomini delle forze dell’ordine italiane sono stati mobilitati per
evitare che chi vuole rovinare la festa dei lavoratori sia fermato senza
conseguenze. Avendo gli occhi del mondo puntati sull’area in cui si svolgerà
l’esposizione universale, una falla nella sicurezza dell’evento non può
essere permessa. Per questo il Viminale ha inviato 3796 uomini di rinforzo
ai reparti già mobilitati su Milano, per l’intera durata della
manifestazione. Queste forze aggiuntive andranno a sommarsi ai 2.000 addetti
già disposti in città per i prossimi giorni, che si preannunciano da bollino
rosso.

Eppure qualche centinaio di black bloc ha sopraffatto la forza dello Stato.
Alla fine il bilancio dei numeri è di 11 feriti tra le forze dell’ordine e
zero tra i violenti criminali manifestanti, oltre che 10 antagonisti
accompagnati in questura. Cinque gli arresti in flagranza eseguiti dalle
forze dell’ordine. Durante i disordini avvenuti a Milano al corteo No Expo
sono stati lanciati 400 lacrimogeni. Il dato è stato fornito dalla Questura.
Un risultato risicato a favore della polizia. Un po’ troppo poco per il
costo subito dei danni subiti e il costo per mantenere tutta la struttura
per proteggere la città.

E non credo che la colpa sia degli agenti, ma, forse, visti i risultati è
colpa di chi li comanda? Non mancano le voci critiche, come quella di Matteo
Salvini che si chiede “Renzi e Alfano, i danni ai cittadini li pagate voi?”.
E così pensa la gente.

C’è la rabbia della gente, tra le reazioni allo scempio che i No Expo hanno
fatto questo pomeriggio a Milano scrive Libero Quotidiano il primo maggio
2015. Auto incendiate, cassonetti rovesciati, negozi dati alle fiamme,
vetrine sfondate. Danni per milioni di euro. E la polizia che resta a
guardare gli antagonisti che sfasciano tutto, limitandosi a contenere
l’avanzata dei vandali e impedendogli di accedere alla zona rossa del
centro. Una strategia assai diversa da quella adottata quattordici anni fa a
Genova in occasione del G8. E la rabbia della gente esplode, pensando alle
tante sentenze dei giudici contro la polizia (l’ultima quella sulla scuola
Diaz) e l’introduzione del reato di tortura. “Attendere! Potrebbe scattare
il reato di tortura!!!” scrive Vittorio. “Sono manifestanti pacifici. Perché
fermarli? Sarebbe tortura” aggiunge Vittorio. Karl: “Fa bene a non
intervenire…dopo certe sentenze!!!”. La polizia ormai è stata disarmata da
certe sentenze, dai buonisti, dagli ipergarantisti sinistronzi, da certa
stampa e non sentendosi tutelata, resta a guardare in attesa di ordini da
parte di organismi superiori anch’essi congelati da certe sentenze”. Angelo:
“Perché tanta meraviglia? dopo la condanna come torturatori e un capo che
invece di difenderli li sospende…dopo giudici che mandano sempre liberi i
delinquenti che vengono catturati perché mai i poliziotti dovrebbero
rischiare di essere condannati.. un piffero disse “non siamo a Beirut” beh
siamo peggio….”. Maurizio: Quanti dei danneggiati di oggi hanno urlato
contro la polizia cilena di Genova? Quanti hanno trattato il povero
carabiniere Placanica come uno sfigato (loro, i ricconi radical-chic)?
Quanti hanno votato per Heidi Giuliani, madre dell’eroe dei tempi moderni
(emblema perfetto del gramo destino d’Italia)? Bene, spero che i danni
riguardino solo loro. La polizia non faccia nulla, non meritano nulla”.
Giovanni: “non possono intervenire se no i giudici li condannano”. Rul5646:
Naturalmente grande scandalo se la polizia si permettesse di intervenire.
Allora certa magistratura, certe esponentesse ed i buonisti in coro si
indignerebbero infinitamente”. E ancora: “E cosa potrebbero fare di più quei
poveracci? Quei bastardi delinquenti sono sacri ed intoccabili per taluni
magistrati e per tanti esponenti della politica italiana. Questa è l’Italia
comunista!”. Cheope: “La polizia aspetta……tanto sa che se anche li
prendono , domani per ordine di qualche magistrato li mettono fuori. E
intanto ci sono persone che hanno le auto incendiate, negozi sfasciati e
tanta paura. E tutto questo con l’Expo non c’entra, è solo terrorismo”. Poi
c’è chi se la prende con Alfano: A O Anna 17 scrive: “Ma quel cretino di
Alfano dove sta? Ah si è dimesso? Che fortuna. No no non si è dimesso, ma
che schifo e non si vergogna?”.

Appunto i No Expo sfasciano e incendiano, la polizia sta a guardare. Scene
già viste tante volte, purtroppo: auto e negozi in fiamme, vetrine spaccate
a martellate. Qualche anno fa era toccato a Buenos Aires, questa volta a via
Carducci, una delle strade più eleganti e centrali di Milano. Dove i
manifestanti No Global hanno bruciato due auto, sfasciato tutto lo
sfasciabile e bruciato un paio di negozi con colonne di fumo nero alte
decine di metri. Per mezz’ora la strada, lunga circa 500 metri tra corso
Magenta e piazzale Cadorna, è rimasta in preda totale ai No Global. le forze
dell’ordine sono state a guardare senza fare nulla, senza intervenire, senza
impedire la devastazione. Solo dopo mezz’ora un mezzo antincendio è arrivato
a spegnere le fiamme delle due auto. E solo a quel punto polizia e
carabinieri hanno iniziato a intervenire con cariche e manganelli.

Una gestione “tattica” dell’ordine pubblico, non con l’obiettivo di impedire
una quantità inevitabile di devastazione, ma di bloccare l’accesso al centro
di Milano al blocco dei violenti senza coinvolgere negli scontri le migliaia
di partecipanti pacifici alla May Day Parade contro l’Expo. Questa è stata
la strategia messa in campo dalla questura di Milano – in accordo con le
disposizioni del ministero degli Interni – per affrontare una giornata che
fin dalla vigilia si annunciava assai critica. E che critica alla fine è
stata, come vede ripercorrendo le strade del centro di Milano devastate dal
passaggio dei Black bloc. Ma che ha portato al risultato che fin dall’inizio
i vertici della polizia si erano dati: evitare che il giorno
dell’inaugurazione di Expo si trasformasse in una specie di G8, con feriti
da una parte e dall’altra. Lo scontro fisico è stato evitato. e poi…dalle
18 del primo maggio piazza della Scala è completamente blindata dalle forze
dell’ordine da ogni accesso. Dopo la manifestazione con oltre 20 mila No
Expo e trecento black bloc che hanno devastato Milano, la tensione è alta
per l’inizio della Turandot, l’opera scelta dal teatro milanese per
festeggiare l’inizio di Expo 2015.

Vuoi metter che gli “Scalisti” con i cittadini danneggiati dai black bloc?
Tutta un’altra musica!

E poi ci siamo noi cittadini, perché lì, a manifestare in piazza, ci vanno
anche i nostri figli. Ma le mamme italiane dove sono? Perché non scendono
pure loro in strada a prendere a sberle i figli che spaccano le vetrine e
devastano le città? Questo si chiede Mario Giordano su “Libero Quotidiano”.
Nei giorni scorsi siamo rimasti tutti colpiti da quella signora di
Baltimora, di giallo vestita e di sganassoni munita: appena si è accorta che
il suo adorato pargolo si era vestito da black bloc per fare a botte con la
polizia, non ci ha pensato neppure un attimo. È scesa in strada, l’ha preso
per la collottola, l’ha riempito di sberle e l’ha ricondotto sulla via della
ragione. Un mito, certo. Ma che cosa impedisce alle mamme italiane di fare
altrettanto? Si badi bene: quel che vale per la politica, vale anche per le
violenze nello sport e nel calcio in particolare.»

Dott. Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia