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Natale, scuola dell’umiltà: Dio si mette alla ricerca dell’uomo

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Mi avvicino, in silenzio, accanto al presepe, in adorazione, pensando che quando si parla di Dio si può solo balbettare: “Il mistero rimane mistero. Esso si sottrae alla nostra presa. Ma mistero non significa semplicemente ciò che non si sa” (D. Bonhoeffer). Il presepe è la geniale invenzione di Francesco di Assisi in versione poetica e popolare per narrare l’umiltà e la semplicità di Dio, però il Natale non è esclusivamente un racconto che suscita emozione, – rinuncio fin da adesso a parlare degli aspetti folcloristici – ma un evento di grande portata teofanica che ha spinto i teologi a raffinare le loro argomentazioni e approfondire i dati della Sacra Scrittura e della Tradizione. Non intendo fermarmi alla sola festa liturgica, la cui chiave è l’adorazione silenziosa, tuttavia un dato è incontrovertibile: sociologicamente è cambiata la sensibilità umana e religiosa.

Le cause sono da ricercarsi tra gli effetti della secolarizzazione e commercializzazione religiosa e per il credente stesso che ha smarrito lo stupore dello “scandalo dell’incarnazione”. Perché Dio si è fatto uomo? Perché una festa che celebri il mistero dell’incarnazione? Il dogma della fede cristiana, recitato nella professione di fede ecclesiale, è frutto dello sviluppo e dell’elaborazione teologica dei primi secoli (IV sec.), in mezzo a eresie, controversie cristologiche e dibattiti teologici relativi all’incarnazione, sulla vera divinità e sulla vera umanità di Gesù Cristo. Non conosciamo la data esatta della nascita del Maestro della Galilea, attingendo dai documenti antichi – anno 354 circa – (Chronographus, Filocalo) si ha la fissazione della testimonianza più antica del 25 dicembre che i cristiani celebravano come la nascita di Gesù.

Le tesi sono diverse, quella prevalente sostiene che la chiesa di Roma ha opposto la festa del Natale del Signore alla festa pagana del 25 dicembre del Natalis Solis invictis (culto del sole), una data che ha origini teologiche e culturali. I pagani celebravano il giorno del solstizio d’inverno, – la festa del sole rinascente –, e i cristiani ripresero il tema della luce nel quale Cristo con la sua nascita ha portato la vittoria sulle tenebre, dove si cristianizzavano concezioni pagane. I cristiani opposero la superiorità di Cristo sulle forze cosmiche, contro l’astrologia e altre pratiche superstiziose presenti in ambienti pagani che credevano nelle divinità degli astri e dell’influsso nella vita umana: l’incarnazione di Gesù porta la salvezza della carne, la “liberazione” degli uomini dall’influenza delle forze occulte, e antidoto contro ogni spiritualità disincarnata. I primi Padri della chiesa sostennero la tesi di una preparazione e lenta maturazione alla nascita di Cristo, nelle Sacre Scritture, nella creazione e nella storia, ma i cristiani presero a parlare della natività anche prima del IV secolo. Riferendoci al contesto odierno, il messaggio del Natale cosa significa? Ci si ferma al contenuto teologico, alla semplicità o si preferisce lo svago del folclore invece del “cuore” della novità cristiana?

La proposta educativa è di “illuminare” la spiritualità e la portata di questo “evento” nel contesto culturale attuale: di tempo, di luogo, di spazio. Davanti ad una realtà svuotata di senso, (“decaffeinata”, cioè senza Cristo), l’uomo contemporaneo conosce altri problemi: l’assenza di fraternità; la ricerca del profitto a tutti i costi; l’aumento dell’intolleranza verso l’altro che è diverso per condizioni etniche, culturali e sociali; l’impotenza davanti alle forze economiche e sociali; l’asservimento alla logica del più forte. Cosa dice l’incarnazione di Dio oggi? Quali conseguenze? Cambia lo stile di vita? Quali raggi luminosi e pieni di gioia quando il Padre invia il suo unico Figlio per amore e per la nostra salvezza? I primi cristiani annunciavano una novità radicale, la portata “liberatrice” del cristianesimo.

Oggi? Il Natale è una festa che invita alla gioia, alla semplicità, allo “stupore”, non uno splendido quadretto familiare dove si è spettatori di un “atto” già noto. Dio si avvicina a noi nella debolezza, nel nascondimento, ci viene incontro, dove il suo trono non è nei troni umani ma nella mangiatoia. Maria, canta il Magnificat (Lc 1,46-55), loda Dio perché “Ha rovesciato i potenti dai troni ed ha innalzato gli umili”. È l’atteggiamento di adorazione e di preghiera da tenere, in ginocchio, davanti al mistero, perché Dio è il vincitore e l’uomo il perdente. Buon Natale, di cuore.