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Nel caos delle leggi

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Uno spirito arguto ha sostenuto che l’attuale ordinamento giuridico italiano é retto, nella prassi, da quattro istituti: il rinvio, la deroga, la proroga e la sanatoria.
E’ palesemente un paradosso, che, tuttavia, rende bene la degenerazione del sistema dovuta a molteplici cause, talora contraddittorie ma sempre con effetti sinergici.

Da un verso molte leggi danno assoluta prevalenza ad interessi “particulari”, come li chiamava il Guicciardini, sicché è agevolmente riconoscibile il beneficiario: un determinato gruppo o una determinata corporazione oppure addirittura una singola persona, della quale talvolta contengono una così vivace descrizione da costituire una fotografia a colori, tanto che comunemente tali leggi vengono indicate non con il nome del proponente ma con quello del beneficiario.
D’altro verso, le rare volte che il nostro legislatore prova a varare un transatlantico, destinato a percorsi oceanici, lo lascia senza adeguato equipaggio, se non addirittura senza carburante, sicché lo pone subito in bacino di carenaggio ed apporta modifiche tali da intaccarne le linee essenziali (soprattutto con leggi e decreti legge, quindi al di fuori del meccanismo integrativo e correttivo, mediante leggi delegate, pur previsto che il primo triennio dalla legge delega).
Inoltre molti giudici, talvolta perché nella sostanza non condividono le scelte del legislatore, hanno sollevato e sollevano numerose questioni di legittimità costituzionale, delle quali poche, ma significative, sono state ritenute fondate.

Cosi tra modifiche legislative ed interventi del giudice delle leggi si ha nuovamente una nave in cui l‘opera del calafato risulta imponente.
In effetti il legislatore, tutte le volte in cui pone mano ad una riforma di ampia portata, si ispira, come é giusto in teoria, ad astratti principi, soltanto declamatoriamente accolti da quasi tutti, senza, però, tenere conto della concreta situazione nella quale la legge deve operare e senza approntare tempestivamente le adeguate strutture.

Ne consegue sia la previsione di adempimenti puramente formali che spesso appesantiscono inutilmente i procedimenti, difetto che, tuttavia, può essere agevolmente corretto dallo stesso legislatore; sia l’impossibilità pratica, per la mancanza delle strutture, di dare immediata attuazione alla legge, con tutti gli inconvenienti che ne derivano e che aggravano sempre più la crisi della pubblica amministrazione in genere dell’amministrazione giudiziaria in particolare; sia, soprattutto, l’impatto con una realtà che, per effettive inconciliabilità con la legge o per vischiosità delle vecchie prassi e della vecchia mentalità, genera un vero e proprio fenomeno di rigetto, sicché non solo coloro che erano contrari ai principi ispiratori della legge ma finanche alcuni di quelli che li sostenevano e lo stesso legislatore finiscono col rifiutare l’applicazione di quei principi pur proclamati con enfasi.
Per giunta il legislatore spesso provvede sotto l‘impulso dell’emozione cagionata da eventi talvolta veramente gravi e tragici ma talvolta anche connotati essenzialmente dal clamore dei mezzi di informazione, sicché inserisce nel sistema norme contraddittorie e non coordinate.
Insomma il legislatore naviga a vista e con una visione miope, accoppiando ai pericoli di una navigazione sotto costa (secche e scogli) anche la mancanza di una visione complessiva ed organica degli scopi ultimi da raggiungere.

L‘orizzonte legislativo deve allargarsi alla regolamentazione amministrativa, centrale e locale, onesta ed efficiente, premessa indispensabile per assicurare, sempre nell’ambito dello Stato democratico e sociale di diritto delineato dalla Costituzione, l’ordine civile, economico e sociale.
E’ vero che si tratta di un rimedio che opera nel lungo periodo, ma questa esatta considerazione non può e non deve costituire un alibi per non porre mai mano ai necessari provvedimenti, altrimenti non si esce dalle ricorrenti emergenze.

Ad esempio la creazione di una efficiente amministrazione finanziaria, che intraprenda, nel contesto di poche e chiare leggi, seriamente la lotta all’evasione fiscale, richiede tempo e lavoro, ma tanto non giustifica la perpetuazione dell’attuale situazione, nella quale in definitiva si fa sempre ricorso, per giunta in modo confuso, ad un aumento, diretto od indiretto, della pressione fiscale, che colpisce soltanto i soliti noti, mentre nella stragrande maggioranza gli evasori restano ignoti, almeno per il fisco. Chi scrive è consapevole che i concetti esposti sono tutt’altro che nuovi, ma, a costo di ripetere prediche inutili come riteneva le sue finanche Einaudi, è opportuno ribadirli nella speranza che finalmente si adottino i provvedimenti diretti in concreto, seriamente e senza sterili declamazioni ad assicurare la buona amministrazione, obiettivo che non sembra poi così irreale ed utopistico.
Né il buon governo è cosa di poco conto, perché, invece, proprio il mal governo e’ alla base di tutte le gravi emergenze che affliggono l’Italia e che inducono i cittadini a svendere la libertà nella speranza, illusoria, di ottenere la sicurezza. Libertà e sicurezza non sono in se stesse antitetiche, ma lo diventano quando la vera democrazia viene abbandonata o tradita. La colpa più grave di una classe politica è quella di fare perdere la fiducia nelle libere istituzioni democratiche, premessa di pericolose avventure che ardentemente vorremmo scongiurare.