L’Associazione dei Medici Cattolici fonda il proprio modello di salute sull’ispirazione cristiana del Vangelo, nel quale è possibile ritrovare il principio etico fondamentale della professione medica: venerare e difendere la vita dal concepimento alla morte naturale e servire la dignità incommensurabile dell’uomo. Leggendo un articolo su approdoNews in riferimento alla istituzione del registro per le DAT nel Comune di Taurianova, con meraviglia e stupore le posizioni cattoliche vengono bollate come “bacchettone, retrograde e bigotte”. Vogliamo, con il dovuto rispetto per tutte le posizioni, ribadire il punto di vista dei medici cattolici sul cosiddetto “testamento biologico”, al di là di pregiudizi e di posizioni ideologiche precostituite. L’impianto della legge del cosiddetto “testamento biologico”, a parere dei medici cattolici, pone l’accento maggiormente sull’autodeterminazione del paziente, facendo riferimento in particolare al secondo comma dell’art. 32 della Costituzione (…nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge…).
L’esperienza di medici ci insegna che bisogna avere rispetto per il dolore e la sofferenza, nessuno deve considerare con superficialità i molteplici casi drammatici che oggi in particolare sono all’attenzione di tutti. Tutti concordiamo che la sofferenza può far paura più della stessa morte. E va ricercato ogni rimedio per eliminarla. E qui si apre la questione di quanto la società si impegni nella ricerca per abbattere il dolore, per sostenere le cure palliative, per favorire un coinvolgimento della stessa società perché nessuno venga lasciato solo nei momenti di sofferenza. Il mestiere del medico è quello di curare. La scienza medica è il soccorso specifico contro il male, le infermità o le disabilità o la prossimità della morte. La consapevolezza della morte non vanifica l’atteggiamento di cura e non diventa abbandono. Nulla interrompe, infatti , il prendersi cura del malato nell’approssimarsi del morire. Da ciò nasce il rifiuto di ogni pratica di morte diretta o indiretta che sia, derivante da intervento letale o da abbandono terapeutico.
Al tempo stesso esiste una linea sottile nelle pratiche di accanimento terapeutico. Le nuove tecnologie consentono di rinviare il momento di morte, prolungandolo oltre le leggi della fisiologia. Sono pazienti che vivono gli ultimi giorni della loro vita nelle strutture ospedaliere, spesso in solitudine aggravando la sofferenza. Perché continuare senza speranza alcuna e spesso senza dignità? Ogni atto medico deve sempre rispondere ai criteri della appropriatezza e della proporzionalità delle cure rispetto alle condizioni cliniche. Evitare l’accanimento spesso appare doveroso, come segno di estrema responsabilità e rispetto verso la vita umana. Evitare l’accanimento non facilita la morte ma semplicemente accetta i limiti della vita umana. Obbligo morale del medico è quello di conservare la salute e la vita, non quello di prolungare l’agonia.
Nella fase terminale della vita, va sempre salvaguardata la dignità della persona, ricorrendo alle cure palliative e alla sedazione profonda secondo rigorosi criteri clinici e morali. Il medico è chiamato ad interrogarsi sulle scelte sul fine vita. L’arte della medicina è in primis quella di aiutare. Se nessuno può certo imporre a un paziente di curarsi, altrettanto certamente nessuno può imporre al medico di collaborare al progetto di chi ha deciso di farla finita. Esiste sempre una coscienza del medico. Il medico non può mai essere un “mero esecutore” della volontà altrui quando queste configgono con la sua deontologia e la sua coscienza. Come potrebbe dunque un medico essere tenuto a togliere il sondino o la cannula di chi ha deciso di lasciarsi morire o, peggio, essere costretto a toglierlo al minore o all’incapace che un altro ha deciso di lasciar morire? La medicina è per la vita.
Nel corso degli anni abbiamo assistito a serrati dibattiti , spesso di natura prettamente ideologica, su vari casi come quello di Englaro, Welby e D.J. Fabo. Casi diversi uno dall’altro.
Le posizioni possono essere diverse nell’ambito della medicina e anche nel mondo cattolico. Questo non vuol dire avere pregiudizi o essere bigotti, o addirittura essere retrogradi e bacchettoni quando si discute su argomenti dove sono in gioco l’autodeterminazione della persona e l’arte medica. La sospensione delle cure con particolare riferimento all’idratazione e nutrizione artificiale deve essere sempre ispirato ad un parametro essenziale : gli interventi non devono mai essere sproporzionati e futili. Per quanto riguarda nutrizione e idratazione diversa è la condizione del malato terminale da quella del disabile stabilizzato: ciò che nel primo caso potrebbe essere ostinazione terapeutica contro un esito ineluttabile nell’altro è doverosa assistenza, sottrarre la quale equivarrebbe ad aver deciso di affrettare la morte del paziente. In particolare, si tratterebbe di suicidio se fosse il paziente stesso ad assumere la decisione, o di eutanasia da omissione di cure se a decidere su un incapace fosse chi legalmente lo rappresenta.
Per quanto riguarda l’autodeterminazione, la prima cosa di cui accertarsi dovrebbe essere quella di un’effettiva autonomia delle scelte, libera da condizionamenti di natura psicologica, familiare, sociale o economica oltre che fondata sul presupposto di una piena sanità mentale. Quindi, ammettendo una legittimazione giuridica al rifiuto/rinuncia delle cure, non si può negare che in molti casi si presentino gravi interrogativi, in tutta la loro drammaticità e problematicità, alla coscienza personale, soprattutto a quella del medico per terapie proporzionate ed ordinarie mentre quelle non proporzionate o inutili o futili o straordinarie o rischiose o onerose sono moralmente, giuridicamente e deontologicamente illecite, configurandosi come accanimento terapeutico, che va in ogni caso condannato e respinto. I medici cattolici respingeranno sempre ogni intento e azione eutanasica comunque mascherata, così come ogni forma di accanimento terapeutico e parimenti di abbandono di cura dell’ammalato.
Il Presidente e il direttivo
Associazione Medici Cattolici Italiani
Sez. diocesana “San Giuseppe Moscati”