Riforma elettorale. E’ tempo di osare


Editoriale di Bruno Morgante

Riforma elettorale. E’ tempo di osare

Editoriale di Bruno Morgante

 

 

In Italia si sta giocando una partita delicata per il futuro del paese e della democrazia rappresentativa.
Anche i partiti sono coscienti che rischiano se non sono capaci di produrre cambiamenti e inversione del trend economico negativo, che sta producendo drammi in molte famiglie.
Pur non fidandosi tra di loro hanno fatto un’alleanza di governo con l’impegno di affrontare i problemi e di procedere all’ammodernamento della costituzione e alla abolizione dell’attuale legge elettorale, “il porcellum”, che ha espropriato i cittadini del potere di scegliere il parlamentare.
Qualcuno, con l’alibi di non dovere sforzare la mente per disegnare una nuova legge, propone il ritorno al “mattarellum”, che era la legge elettorale in vigore dal ’94 e fino all’entrata in vigore del porcellum.
Sembra un’operazione nostalgia, per cui se non ci piace il presente, il passato ci sembra più bello di quanto realmente era.
Anche allora poche persone a Roma decidevano i candidati nei collegi.
I partiti aumentavano a dismisura (se ne sono contati 24) e i grandi partiti erano ricattati da pseudo partiti, nati all’occorrenza, formati da personaggi politici in difficoltà nel loro partito, che mantenevano un potere marginale in alcuni collegi, però capace di decidere la vittoria o meno in quei collegi, che pretendevano collegi sicuri.
Si costituivano le maggioranze più assurde e disomogenee perché l’imperativo primario era vincere,con il risultato che in quegli anni si formavano governi, ma non si governava per i ricatti continui a cui erano soggette le forze più responsabili della coalizione.
Berlusconi inventò la doppia alleanza: al centro sud con AN e al nord con la Lega di Bossi, così come nel ’96 Prodi inventò la desistenza con Bertinotti.
Se l’esperienza conta per decidere la strada da prendere allora l’esperienza della legge elettorale delle province con liste di partito, collegio unico nazionale, circoscrizioni regionali e collegi uninominali, eventuale sbarramento sbarramento al 4%, è un buon esempio da seguire.
Il doppio turno garantisce sicuramente che ci sarà una maggioranza rappresentativa della maggioranza degli elettori.
I collegi contenuti in termini di numero di elettori e in termini di estensione territoriale permette a ogni candidato di affrontare la campagna elettorale senza bisogno di grandi risorse economiche da spendere e di poter mantenere dopo un rapporto continuo con il suo elettorato.
Dovrebbero essere obbligatorie le primarie tra gli iscritti del collegio da tenere presso i comuni con presidente di seggio un impiegato comunale.
Va da sé che dovrebbero essere pubblici gli elenchi degli iscritti e che si dovrebbe regolamentare per legge un luogo dove risolvere immediatamente eventuali contenziosi sollevati da iscritti.
Al secondo turno parteciperebbero le prime due coalizioni o partiti che avranno preso più voti. Sono possibili apparentamenti tra coalizioni o partiti presentatisi distinti al primo turno.
La coalizione o partito che prende la maggioranza assoluta al ballottaggio prende la maggioranza dei seggi.
Dato che non si è costretti a mettere insieme il diavolo e l’acqua santa perché non vince chi prende un voto in più al primo turno, ma la partita si gioca al secondo turno, è garantita una maggioranza omogenea e la governabilità del Paese.
Inoltre non si pretende, con l’alibi della governabilità, di creare il bipartitismo per legge.
Perché la legge sia immediatamente applicabile basta ridurre i parlamentari a 475 e riprendere i vecchi collegi esistenti al tempo del mattarellum.
Ove si rendesse necessario approvare una legge elettorale per non tornare a votare con il porcellum, perché il governo cade prima di avere avuto il tempo per abbassare il numero dei parlamentari, si può adottare ancora questo sistema prevedendo, insieme ai 475 eletti nei collegi uninominali, l’elezione di 155 parlamentari in liste regionali bloccate di partito, per non perdere tempo nella definizione dei nuovi collegi.
Sono d’accordo, comunque, che si potrebbe anche andare a liste di partito con collegio unico nazionale, circoscrizione e collegio elettorale regionale, con doppio turno nazionale, così come avviene per l’elezione dei sindaci, immettendo però le preferenze e cogliendo l’occasione per omogeneizzare le leggi elettorali ai vari livelli istituzionali.
Ad ogni livello, compreso quello regionale e comunale, dove si vota con liste di partito, per contrastare lo scadimento della vita politica degli ultimi venti anni a cui ha concorso anche la preferenza unica, secondo me bisogna permettere all’elettore di esprimere un numero di preferenze pari a due terzi del numero dei candidati.
La preferenza unica ha comportato:
– a) abbassamento del numero delle preferenze necessarie per essere eletti;
– b) peso determinante per essere eletti l’appartenenza a grandi famiglie, a gruppi di potere, compresa la mafia, che con la preferenza unica ha eletto direttamente i suoi rappresentanti e non solamente influito sull’elezione di altri;
– c) distruzione dei partiti perché ognuno viene eletto con propri voti, per cui è pronto a cambiare partito se lo stesso non è funzionale agli interessi dei suoi elettori, l’importante è controllare il proprio portafoglio di elettori, con disinteresse a qualsiasi discussione o elaborazione politica che possa fare emergere nuovi dirigenti;
– d) potere quasi assoluto dei sindaci e dei governatori se bravi a diventare interlocutori dei consiglieri e del loro interesse principale teso alla cura del proprio elettorato, compreso i consiglieri di minoranza, tanto è vero che non si hanno notizie di grandi battaglie di opposizione nei comuni e nelle regioni, mentre è cresciuta a dismisura la spesa clientelare;
– e) difficoltà di ricambio con l’affermarsi di un’oligarchia, con scalate possibili solo al proprio interno, che condiziona e gestisce la spesa pubblica e i partiti, spesso esistenti solo per legittimare questa oligarchia.
Portando le preferenze ai due terzi dei consiglieri da eleggere si otterrebbe:
– a) crescita a dismisura del numero delle preferenze necessarie per essere eletti, pari a circa i due terzi dei voti di lista;
– b) nessuna famiglia o gruppo di potere, compresa la mafia, tenuto conto che con lo sbarramento sarebbero esclusi i partitini, potrebbe garantire le preferenze necessarie, ma il candidato per vincere avrebbe bisogno di essere votato da quasi tutti quelli che votano la lista. Per avere i voti di opinione non potrà rappresentare i voti del suo gruppo o della sua famiglia, ma agire per l’interesse generale e come tale apparire. Ognuno dovrebbe temere il voto di taglio, per cui diventerebbe più forte un giovane brillante e impegnato che si presenta per la prima volta, piuttosto che un uscente che sia stato chiacchierato e su cui è stato espresso un giudizio negativo. L’uso clientelare della spesa pubblica potenzialmente potrebbe fare guadagnare qualche preferenza, ma farebbe perdere i voti di opinione, con rischio di subire il voto di taglio. Lo stesso succederebbe con chi tentasse apparentamenti con altri candidati e venisse denunciato all’elettorato dagli altri candidati. L’eletto difficilmente potrebbe cambiare partito per opportunismo politico, perché difficilmente avrebbe le preferenze necessarie in un altro partito, per cui dovrà impegnarsi per essere momento di unione e di rafforzamento del suo partito, con la massima considerazione e rispetto per i suoi iscritti;
– c) i partiti ritornerebbero ad essere per i cittadini momento importante di partecipazione alla politica, in quanto conterebbero veramente, sia nella scelta dei candidati, sia per concorrere alla elaborazione di idee e programmi per lo sviluppo del proprio paese e del proprio territorio, elaborazione che troverebbe riscontro nelle posizioni dei rappresentanti ai vari livelli del proprio partito, e sia per eleggere i propri rappresentanti;
– d) i sindaci o i presidenti di regione dovranno essere all’altezza dei propri consigli che privilegeranno il confronto, la politica, il controllo sulla spesa e sull’uso produttivo delle risorse, che pretenderanno grandi capacità operative dagli esecutivi per non essere coinvolti in un giudizio negativo dall’elettorato;
– e) in ogni elezioni saranno possibili grandi cambiamenti del personale politico perché il cittadino avrà a disposizione le preferenze per votare l’uscente che ha bene operato, il parente, il vicino o il paesano, quello più vicino alle sue posizioni nel partito e poi avrà anche la possibilità di votare la persona che ha condotto battaglie, quella che si è impegnato nel sociale, la persona che è intervenuta con puntualità e passione su molti argomenti e che gli genera fiducia. Sicuramente nessuno potrà sentirsi sicuro di essere rieletto.
E’ chiaro che in queste ipotesi i gruppi dirigenti dei partiti ai vari livelli, fino ad oggi garantiti dalla loro posizione, dovrebbero abdicare in favore della politica e dei loro partiti.
E’ utopia?
C’è una crisi pesante di fiducia nella politica e il popolo non accetta più pseudo riforme ritagliate sull’interesse di uno o dell’altro.
Grillo docet.
E’ il momento di osare e di avere fiducia che se le battaglie sono per ricondurre il potere al popolo e per togliere il potere alle oligarchie dei partiti si potranno rimuovere anche le montagne.
Bruno Morgante