Scioglimenti Comuni: triste record della Calabria


Da quasi un quarto di secolo in tutta Italia ogni mese un municipio viene commissariato per infiltrazioni della criminalità organizzata: è questo il bilancio della speciale legge introdotta nel 1991. Una norma che oggi, sulla scia dello scandalo per il caso di Mafia Capitale, si sente l’urgenza di rivedere. Ma il problema, rivela la storia di questi anni, non è tanto nel testo del provvedimento, quanto nel fatto che troppo spesso è stato usato come strumento di lotta politica tra gli opposti schieramenti

di Giuseppe Baldessarro
(da Repubblica online del 29 agosto 2015)

REGGIO CALABRIA – Dai piccoli municipi ai comuni come Reggio Calabria, capoluogo di provincia e città metropolitana. La legge sullo scioglimento delle amministrazioni “a rischio infiltrazioni mafiose” non ha fatto sconti. Una dopo l’altra, dall’agosto del 1991 allo scorso dicembre 2014, giunte e consigli mandati a casa su richiesta delle prefetture calabresi sono state complessivamente 79. Dati alla mano si tratta della seconda regione italiana nella quale la legge è stata applicata, con una situazione migliore soltanto alla Campania e leggermente peggiore la Sicilia. Un record per nulla invidiabile che si aggrava se si tiene conto della densità della popolazione (meno di 2 milioni di abitanti). Secondo gli ultimi dati ufficiali, in questo momento, i municipi commissariati e amministrati dai funzionari dello Stato sono 15, anche se in realtà il numero va aggiornato. Dopo le ultime amministrative di primavera infatti le urne hanno ridato un governo democraticamente eletto ai comuni di Melito Porto Salvo e Siderno (entrambi nella provincia di Reggio Calabria). Resta tuttavia un dato allarmante se si considera che in tutta Italia le gestioni commissariali per questioni legate alla criminalità organizzata sono complessivamente 27, e che quindi la metà di esse si trova in Calabria.
Dopo 24 anni di applicazione della legge, anche in Calabria non sono pochi i dubbi sulla validità dello strumento ideato a suo tempo per difendere i comuni dall’aggressione della criminalità organizzata e per colpire le complicità di amministratori e dipendenti infedeli. Non ha caso da mesi il Procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, parla di legge che “va rivista e aggiornata alla luce degli anni di esperienza fatta sui diversi territori”.
Che la norma sia risultata spesso inefficace lo dimostrano i ripetuti scioglimenti di comuni come Lamezia Terme, Taurianova o Platì, tutti commissariati più volte. Per gli analisti è la dimostrazione che non sempre mandare a casa un’amministrazione e tornare alle urne dopo i 18 mesi (quando non ci sono proroghe) di amministrazione “controllata” sia risolutivo.
In questo senso l’ultimo caso giunto alla ribalta delle cronache è quello di Platì, piccola comunità nell’entroterra della locride, nella quale nessuno vuole più fare il sindaco convinto che il comune sarebbe comunque sciolto per mafia a causa della nomea di paese ad alta densità mafiosa o delle parentele scomode che chiunque, in maniera diretta o indiretta, ha con personaggi più o meno legati alla ‘ndrangheta. Di fatto, tranne qualche breve parentesi, tra scioglimenti e dimissioni, a Platì non c’è un’amministrazione dal 2003 e anche alle ultime elezioni, la scorsa primavera nessuna lista è stata presentata.
Il caso più eclatante resta comunque lo scioglimento del comune di Reggio Calabria nell’ottobre del 2012, quando per la prima volta è stato sciolto un capoluogo di provincia. Non un municipio qualsiasi, ma una delle dieci città metropolitane, considerata dal punto di vista della popolazione, delle influenze politiche ed economiche il municipio più importante della regione. Insomma la capitale, anche se soltanto di una regione. Uno scioglimento decretato “per la contiguità con alcuni ambienti mafiosi”, e dunque ben oltre il semplice rischio infiltrazione. Piccole e grandi città azzerate dal ministero degli Interni, ma non solo. Nel corso degli anni nel mirino della legge sono finte anche l’azienda ospedaliera di Locri, sciolta dopo l’omicidio del vice presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno (primario del Pronto Soccorso), e l’Asp di Vibo Valentia pesantemente condizionata dai clan della ‘ndrangheta.