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Si scrive boche de leon, si pronuncia whistleblower

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“Per prevenire la corruzione bisogna attuare le norme per il whistleblower previsto dal testo unico dei dipendenti pubblici per consentire a chi vuole denunciare illeciti di farlo in modo tutelato.

Non e’ delazione ma assunzione di responsabilità”.

Lo ha detto poche ore fa in un’occasione pubblica il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.

Sarà codesta, come sostiene l’illustre e stimato magistrato impegnato in una non facile operazione per rendere l’Italia un paese meno opaco e corrotto, la leva per ripulire un sistema sull’orlo del collasso, in balia di abusi e malversazioni sempre più frequenti?

Conviene non ricorrere a perifrasi. L’applicazione di un simile provvedimento, per sua stessa natura, mette i brividi. E’ vero che le norme del whistleblower sono già previste dall’articolo 54 bis del codice unico degli impiegati pubblici e che la denuncia non sarebbe anonima poiché chi la sporgesse avrebbe garantito l’anonimato tuttavia l’adozione di una simile prassi, prefigura una profonda alterazione di consuetudini e prassi non necessariamente criminogene.

Intanto, il dott. Cantone può manipolare il tema quanto vuole, ma farebbe bene a non farsi beffe dell’altrui intelligenza: si tratta di delazione. Non altro. Il termine inglese  whistleblower infatti non è che un’evoluzione lessicalmente più accattivante di “deep throat” (gola profonda) che non è stato utilizzato  probabilmente solo perché ha dato fama al primo film porno non clandestino, Gola profonda, che, non riferendosi  alla pratica sessuale prediletta dalla protagonista del film, nel gergo giuridico e giornalistico, nostrano è divenuto sinonimo di atto delatorio.

Ma, lo si chiami in un modo o in un altro, la sostanza non cambia: tradotto in italiano, il vocabolo whistleblower significa spione.

Negli Usa, nazione relativamente giovane, la delazione, la denuncia protetta ha assunto uno straordinario valore e dignità  fuori dall’ambito del crimine tradizionale, all’epoca dello scandalo Watergate. Per chi cercasse una rapida ed efficace documentazione sul tema è consigliabile la visione del celebre film di Alan Pakula, “Tutti gli uomini del presidente”, in cui si ricostruisce l’indagine dei giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein che, grazie soprattutto alle indicazioni e alle delazioni di un insider nella Casa Bianca e al Pentagono, portò al deflagrare dello scandalo e alle dimissioni del presidente Richard Nixon.

Nell’Italico stivale l’istituto ha origini ben più antiche ed ha avuto una dignità giuridica secolare nella Serenissima Repubblica di Venezia dove il sinistro Consiglio dei X e successivamente il collegio dei Tre inquisitori agivano e perseguivano i reati di ogni natura quasi esclusivamente sulla base di denunce anonime che venivano imbucate nelle Boche de leon, espressione in vernacolo veneziano che indicava delle buche per le lettere, disseminate in tutta la città, dove potevano essere depositate da chiunque denunce contro chiunque.

La secolare storia della Serenissima è contrappunata dall’eccezionale potere assegnato a chi tali denunce riceveva e dai tanti abusi che ne derivarono, in considerazione del fatto che si procedeva sempre e comunque contro il destinatario della denuncia in maniera sommaria, segreta e sbrigativa.

L’impressione è che l’ispirazione del dott. Cantone discenda non dalla dottrina giuridica di Cesare Beccaria ma dalla legislazione veneziana che , ai posteri, non è mai apparsa come la migliore né si è rivelata essere la panacea di tutti i mali (ivi compresa la pratica della corruzione molto diffusa a Venezia) posto che la Serenissima, nonostante la legislazione draconiana si liquefece come neve al sole alla fine del XVIII secolo.

Insomma, pur considerando improbo e complesso il compito che è stato affidato al Dott. Cantone, l’impressione è che si parta con il piede sbagliato, muovendo da uno storico consolidato che potrebbe garantire (forse) almeno il momentaneo arresto di una endemica e italiota attitudine alla malversazione con denaro pubblico ma è un vero colpo di maglio alla civiltà giuridica che, al contrario,  dovrebbe essere sempre posta alla base della legislazione (e delle conseguenti norme applicative) di uno stato democratico.

D’altra parte se la politica non è in grado di affrontare il tema producendo da sé stessa i necessari anticorpi legislativi impressi in quella stessa cultura giuridica poggiata sulle garanzie al cittadino e seguita ad affidarsi per dipanare la matassa ai magistrati non ci si può aspettare altro che l’auspicio dell’introduzione di simili norme.

Perché, per chi non lo avesse ancora compreso,  per sua stessa formazione il magistrato é chiamato ad applicarle le norme e le leggi, non a proporle.

Il Dott. Cantone non potrebbe, anche se lo volesse, agire diversamente.

Emanuele Pecheux