Intervista a Giovanni Forte, 64 anni, medico catanzarese con oltre 30 anni di integerrimo servizio ospedaliero e da tempo appassionato alla vicenda Majorana
Su Calabria on web novità sulla scomparsa di Ettore Majorana
Intervista a Giovanni Forte, 64 anni, medico catanzarese con oltre 30 anni di integerrimo servizio ospedaliero e da tempo appassionato alla vicenda Majorana
“Ettore Majorana fu ritrovato dalla famiglia poco dopo la sua scomparsa avvenuta nel 1938, ma lui non volle saperne di ritornare. Nell’estate del ’39 morì in Calabria. Secondo le mie supposizioni era affetto da una malattia organica, di cui la famiglia era a conoscenza, la tisi forse. Si è rifugiato a Chiaravalle,in provincia di Catanzaro,nel Convento dei Cappuccini. In un luogo dove sorgeva uno dei centri più accreditati in Italia nella lotta alla ‘tbc’: il Sanatorio San Giovanni Bosco, fondato nel 1930 dal professor Mario Ceravolo (1895-1973) che proprio in quella struttura mise a punto i migliori sistemi per la cura della tubercolosi”. E’ quanto afferma Giovanni Forte, 64 anni – medico catanzarese con oltre 30 anni di integerrimo servizio ospedaliero e da tempo appassionato alla vicenda Majorana – in un’intervista pubblicata da “Calabria on web”, (www.calabriaonweb.it) firmata da Romano Pitaro.
Alle novità che cambiano il punto d’osservazione sulla scomparsa di Mayorana, contenute in un libro di recente pubblicazione (“Ettore Majorana, lo scomparso e la decisione irrevocabile”) scritto da un membro della famiglia Majorana, Stefano Roncoroni, in cui si sostiene che Ettore Majorana, rintracciato subito dopo la sua scomparsa non ha desistito dal suo proposito di sparire e che sarebbe morto nel 1939, si aggiungono ora le puntualizzazioni di Giovanni Forte. Secondo cui, partendo da quando si sostiene nel libro di Roncoroni (Majorana ha trovato rifugio in un vallone boscoso della provincia di Catanzaro) il luogo prescelto da Ettore Mayorana fu Chiaravalle, non Serra San Bruno, e che la malattia di cui lo scienziato soffriva non era la sindrome di Asperger (una variante dell’autismo), come riferito da Roncoroni. Giovanni Forte, escludendo, motivatamente, il suicidio, l’uccisione o l incidente, spiega che Il contesto deporrebbe per una malattia non acuta, influenza, tifo, polmonite: “La presenza di un’infermiera regolarmente presente nella vita di Ettore ci fa pensare a qualche terapia iniettiva, visto che la terapia orale può essere assunta direttamente dal paziente. Una malattia aggravatasi progressivamente e che lo portò alla morte poco più di un anno dopo la fuga. Ettore, consapevole delle sue serie condizioni di salute, decise di sottrarsi al mondo, ai colleghi, agli studenti, a tutti, per vivere dignitosamente e riservatamente il tempo che gli rimaneva. I familiari non condivisero la sua fuga, preferendo che lui continuasse a presidiare il piedistallo raggiunto che era fonte di onore grandissimo per tutti loro”. Ma quale malattia? “In assenza di dati clinici certi, rimarrebbe quasi una esercitazione di fantasia. Tra l’altro, i vaghi disturbi a lui attribuiti, da quelli digestivi a quelli nervosi e all’astenia, sono perfettamente compatibili con tutte le gravi malattie in stato avanzato. Tuttavia, da un punto di vista statistico, in quegli anni, una delle principali cause di morte per malattia era la tubercolosi. Soprattutto nelle regioni meridionali, si faceva di tutto per mantenere il segreto e non far uscire fuori dall’ambito strettamente familiare informazioni del genere. E potrebbe starci anche con la giovane età del soggetto, una costituzione fisica di uomo alto e molto magro e il fatto di essere forte fumatore. Ma, ripeto, sono solo considerazioni induttive, anche se verosimili, non essendo documentati sintomi o dati specifici in merito che riguardassero Ettore Majorana”. Perché esclude che il luogo prescelto sia stata la Certosa di Brunone di Colonia? “Intanto l’ipotesi Certosa di Serra San Bruno nasce da un’idea, quella della fuga dal mondo di questo genio della fisica che aveva intuito le terribili possibilità applicative delle scoperte nucleari di quegli anni e delle quali non voleva sentirsi corresponsabile. Per cui si rifugia in un luogo, dove la vita di preghiera e di contemplazione redime o addirittura modifica gli stessi processi storici. Ma acquisito il dato della malattia e della morte nel 1939, si può dedurre che non è la Certosa il luogo più adatto per la malattia di cui Majorana è affetto. In Certosa vige la clausura, la giornata dei monaci è strutturata rigorosamente nei tempi della preghiera anche notturna, il lavoro manuale, la contemplazione e non c’è spazio per una sia pur minima attività di assistenza per ospiti esterni. Non è così invece in altre comunità monastiche. Roncoroni, nel suo libro sostiene che Ettore si rifugiò “in un vallone boscoso della provincia di Catanzaro, ospite di pastori” e che “…quando il Vaticano aprirà gli archivi relativi al pontificato di Pio XII sarà fatta luce completa sul caso”. Si è trattato quindi di un luogo religioso, un convento. Escludendo la Certosa di Serra San Bruno, quali erano le realtà conventuali, all’epoca, in provincia di Catanzaro? Su tutte spiccava la presenza dei Cappuccini, che, presenti in tante zone della Calabria, avevano un convento molto importante e ben strutturato, con numerosi monaci in una cittadina delle boscose Serre catanzaresi: Chiaravalle. E loro non sono di clausura, hanno una regola ben diversa dai certosini che non crea grandi problemi nell’ assistere un ospite ammalato. Certo, in questo sarebbe stato sicuramente decisivo il chiamarsi Ettore Majorana, con tutto ciò che comportava in termini di importanza e di relazioni quel cognome”. Per cui, nessuna sorpresa se negli elenchi dei morti del 1939 o dei ricoverati nel Sanatorio in quel tempo non ci dovesse essere nessun Majorana. “In ogni modo – conclude Forte – è davvero tempo che la famiglia dica su Ettore Majorana tutto quello che sa. E che gli archivi vaticani afferenti Pio XII, grazie anche alla presenza di Papa Francesco, siano resi pubblici”